Per quanto diretto con uno stile sobrio e asciutto, questo film non cela le sue intenzioni satiriche che, tuttavia, non vengono sorrette da adeguate scelte espressive. La figura moralmente ambigua del protagonista - che ama la voce di Papa Giovanni XXIII e si reca all'udienza con "Play-boy" in tasca; che vorrebbe avere un colloquio privato con Paolo VI per rivelargli ineffabili segreti e nel frattempo accetta la "protezione" di Aiché, una "squillo" - non può dare consistenza né al clima di coartazioni kafkiane derivanti dall'oscuramentismo religioso o dal Potere in generale, né a polemiche dottrinali. Svuotato di vigore il dramma del personaggio-chiave a causa del nulla verso cui i suoi ingenui sforzi tendono, la galleria del personaggi che lo avvicinano appare gratuita, banalmente allusiva, più prossima alla barzelletta volgare che alla realtà effettiva; e lo spettacolo risulta discontinuo e inconcludente. Se la pellicola vuole essere, come alcuni sostengono, una denuncia e una polemica anticlericale, non si può dire riuscita, perché basata su una storia che, se da un lato appare incredibile, dall'altro, anche sforzandosi di darle un significato emblematico, perde il vigore anticlericale propostosi. L'ipotesi (un privato cittadino che vuol parlare col Papa rischia di essere preso per matto e per un pericoloso fanatico) potrebbe infatti essere applicata a qualunque altra situazione analoga. E' per questo che il film va preso per quello che è realmente: o un tentativo di polemica mal posto e mal riuscito, o un divertimento assurdo. Un film da non prendere sul serio in ambedue le ipotesi. Nella prima, infatti, la polemica risulta inconsistente e immotivata; cioè non seria. Nella seconda si tratta di una barzelletta. |